Teoria e pratica del tortello

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Per gentile concessione DI EUGENIO MENOZZI Accademico di Reggio Emilia

Da sempre amo e gusto i tortelli verdi o di zucca (in famiglia non usavano quelli di patate) rigorosamente fatti in casa: ognuno di voi ha senza dubbio la ricetta del ripieno dei tortelli di famiglia, al cui gusto è abituato, e che sono certa¬mente ottimi perché hanno il sapore della mamma o della nonna.
Giova, a questo punto, indugiare circa il tortello perché, come è noto al colto e all’inclita, esistono, come per il risotto, due scuole di pensiero circa la cottura del tortello.
Quella alla quale appartengo, per averla vista praticare dalla nonna, dalla mamma e da mia moglie e an¬che praticata in prima persona, è quella che per brevità verrà d’ora in¬nanzi definita “tradizionale”, che vie¬ne contrapposta alla seconda, che io non amo per molti motivi e che per brevità definirò d’ora innanzi “mo¬derna” o “da ristorante”.
È naturalmente dato per scontato che la sfoglia deve sempre essere sot¬tile tanto da non infastidire il dente delicato con l’eccessiva consistenza delle giunzioni, ma non tanto da la¬cerarsi cedendo al liquido di cottura parte del ripieno. A parte questo, tre sono i punti essenziali nella degusta¬zione del tortello: come in tutte le pa¬ste ripiene (neppure sua maestà il cappelletto si sottrae a questo dog¬ma) deve essere perfetto il rapporto fra contenente e contenuto perché se l’insieme è troppo grosso prevale il contenuto, se troppo piccolo prevale il contenente; quindi l’arguzia del cuoco si manifesta nel determinare esattamente queste proporzioni e ciò, naturalmente, in funzione del sapore del ripieno il quale, essendo costitui¬to da erbe, burro, uova e formaggio che hanno sempre diversi sapori, avrà sempre un sapore lievemente ma inevitabilmente diverso. Si tratta, in buona sostanza, del “family taste” (in inglese perché è moderno e fa molto chic inserire un poco di termi¬nologia anglosassone).
Il secondo punto è la consistenza del ripieno: c’è chi prepara il ripieno del tortello lessando le erbe che poi vengono sminuzzate strapazzandole con coltelli, mezzelune o, peggio, con un mixer. Da questo moderno strumento uscirà una poltiglia verde, insignificante, omogenea e liscia che difficilmente aderirà alla pasta del tortello e nel malaugurato caso di apertura dell’involucro inquinerà tut¬to il liquido di cottura.
Le erbe potranno essere preventi¬vaménte scottate e strizzate ma, an¬cor meglio, cotte direttamente nel soffritto e, in ogni caso, dovranno es¬sere rimescolate con un cucchiaio ri¬gorosamente di legno affinché ben si amalgamino agli altri componenti.
Orbene, la foglia subirà comunque una sfilacciatura e una inevitabile violenza nel corso di queste indi¬spensabili preparazioni, ma con una triturazione ne uscirebbe sempre un residuo di vigore, di sostanza, di consistenza. Ma, soprattutto, la consi¬stenza del ripieno del tortello non sarà liscia e molliccia ma stuzzicherà íi dente con una leggera ineffabile struttura. Il terzo punto è che le coste o punte o barbe (principalmente del tortello), cioè le giunture, non posso¬no essere eccessive: esse siano tanto discrete ed educate da non farsi nota¬re. così come accade a una persona elegantemente vestita.
È noto infatti che il dente sensibile del raffinato si adonta quando, masti¬cando il cappelletto, incontra la parte più dura della giuntura che mani po¬co attente hanno prodotto per chiu¬dere lo scrigno.
Altrettanto capita quando il tortello eccede nelle barbe. Quando, a volte, accadeva che la mamma o la nonna eccedessero, e capitava a mio padre un tortello dotato di code troppo pronunciate, non si lamentava, ma chiedeva a mia sorella o a me se per caso avessimo un paio di forbici a portata di mano oppure, senza dire nulla, faceva un segno unendo ripe¬tutamente indice e medio tesi davanti alla bocca, quasi che volesse tagliare l’eccedenza di pasta che il suo palato non gradiva.
Per quanto si riferisce alla cottura, bisogna pensare per un attimo al tor¬tello. Intendo un tortello, non un tor¬tello, cioè un involucro di sottile pa¬sta ottenuta mediante l’uso di un con¬gruo numero di uova gialle, non bianche, con un tuorlo grosso, rosso e sodo, provenienti, se possibile, da quelle galline che abbiano raspato sul letamaio o nelle sue vicinanze e si siano nutrite convenientemente. La sfoglia deve essere sapientemente ti¬rata con il mattarello d’ordinanza e preferibilmente su un canovaccio di lino e canapa, tanto grezzo da trasfe¬rire la sua ruvidità alla sfoglia agevo¬landola, così, nel compito di trattene¬re il condimento o il sugo.
Sulla sfoglia, asciugata per il tempo giusto (se troppo umida si attacca alle dita e si rompe al momento della chiusura, se troppo secca non chiude lo scrigno e si spacca quando la si piega), viene appoggiata una fila di cucchiaiate di ripieno, poi un lembo viene leggermente tirato e rivoltato a ricoprire il tutto, lievemente pressato con la punta delle dita e rifilato con la cara vecchia rotella in bronzo seghet¬tata e non una di quelle moderne di acciaio inossidabile (o, peggio anco¬ra, di plastica) che non tagliano mai!
A questo punto è bene osservare attentamente il risultato: se la pasta è dello spessore giusto si vedrà traspa¬rire il verde intenso del ripieno e si noterà la leggera cornice di pasta. Se non è così ricominciare da capo, ri¬provare, insistere fino a raggiungere la perfezione. Si arriva, così, al non facile momento della cottura.
L’acqua deve essere abbondante, , naturalmente, giusta di sale e con l’ag¬giunta di un paio di cucchiaiate di olio extra vergine di olive per evitare spia¬cevoli successive appiccicosità e il tor¬tello deve essere tuffato senza che il bollore perda di vigore: subito affon¬derà e dopo qualche tempo riemer¬gerà, in balìa delle bollicine, avvisan¬do così dell’avvenuta cottura, ma que¬sto solo se la pasta è stata tirata ad ar¬te; se la pasta è troppo alta bisognerà verificarne la cottura tastando i bordi.
A questo punto bisogna prendere il tortello, ma delicatamente, con un mestolo che non trattenga l’acqua: il mestolo forato va bene per schiumare il brodo, raccogliere dall’acqua verdu¬re, carne e, in genere, cose non fragili né delicate; per non ledere il tortello usate un mestolo di rete e fate in mo-do che sfiori il tortello senza strappar¬lo. Trattenerlo per alcuni secondi mentre si sgonfia e riacquista le origi¬nali proporzioni, quindi depositarlo in una ciotola, meglio se con il fondo leggermente concavo e preventiva¬mente inumidita di burro. Ripeterete l’operazione, sempre con delicatezza, , fino a coprire il fondo della ciotola con un primo strato di tortelli.
In un piattino sarà predisposto un panetto di burro non gelido, debita¬mente infilzato con una forchetta, che va strofinato ripetutamente sui tortelli ancora caldi affinché, scio¬gliendosi, li condisca generosamente del sapido liquido dorato, insaporen¬doli nel contempo. Con il pugno spargere abbondante formaggio par¬migiano reggiano, grattugiato pochi istanti prima, sul primo strato e ripe-tere l’operazione. Riempita così la ciotola o, comunque, esauriti i tortel¬li, coprire il contenitore, posarlo sul tegame contenente l’acqua di cottura e abbassare il fuoco in modo che l’acqua di cottura continui lentamen¬te a sobbollire.
Lasciare che alcuni minuti, financo mezz’ora, portino il piatto alla perfe¬zione, quindi deporre la ciotola sulla mensa e là scoprirla sì che l’improvvi¬so e caldo effluvio solletichi le nari dei convitati. Prima ancora di iniziare a nutrirsi dei tortelli l’olfatto e la vista avranno dato già ampia e preventiva soddisfazione ai commensali e preven¬tivamente provveduto ad aggiungere olio extra vergine di oliva all’acqua di cottura. Essenziale poi essere generosi nell’uso del burro e del formaggio.
Per contro la teoria cosiddetta “mo¬derna” o “da ristorante” prevede an¬ch’essa, e ci mancherebbe!, la cottura in acqua salata, ma questo è l’unico punto in comune con la scuola tradi¬zionale, perché dopo la cottura i tor¬telli, ahimè miseri, verranno colletti¬vamente raccolti, costretti a un turpe e ignobile ammassarsi, obbligati ad accalcarsi gli uni sugli altri, scolati con un violento movimento sussulto¬rio al fine di accelerare l’eliminazione dell’acqua in eccesso, poi capovolti senza alcun riguardo tranne quello di non farli cadere fuori del contenitore, in una teglia o, peggio, nei piatti sin¬goli, e qui sottoposti a una volgare
i doccia di burro presciolto. Ormai freddi e stressati per il trattamento ‘, subìto verranno spruzzati di formag¬gio, magari grattugiato ore prima.
Come reagirà il tortello a un simile violento trattamento? avrà ancora for¬za per esprimere l’intrinseca fragran¬za? manterrà la necessaria temperatu¬ra fino al raggiungimento della men¬sa? riuscirà a soddisfare, nonostante la violenza subìta, vista, olfatto e gu¬sto dei commensali?

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