Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 29942 dell’8 luglio 2014
Al cliente è riconosciuto il diritto all’asporto del pasto non consumato. Questo è l’obiter dictum che si desume dalla sentenza annotata dove il cliente era stato tratto a giudizio per il reato di ingiuria commesso nel corso di un diverbio con i gestori dell’albergo dei quali l’imputato era ospite , attribuibile alla lamentata insufficiente qualità del servizio. Secondo gli ermellini la fattispecie integra quella tipizzata dal secondo comma dell’art. 599 c.p., norma in virtò della quale può essere ritenuto non punibile chi agisce in stato d’ira provocato da fatto ingiusto altrui, presupposto che può essere costituito anche dalla lesione di regole comunemente accettate nella civile convivenza. Nel caso specifico, la condotta ingiuriosa addebitata all’imputato costituiva l’effettiva e sostanzialmente immediata reazione ai disservizi subiti ed all’imposizione di regole quali il divieto di asportare i residui del cibo per costituire il c.d. “doggy bag” e di riempire la propria borraccia dalla bottiglia servita a tavola, regole che potevano essere ragionevolmente ritenute pretestuose ed ingiuste.
(Testo integrale della sentenza)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente –
Dott. PISTORELLI Lu – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriel – Consigliere –
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo – Consigliere –
Dott. LIGNOLA F. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da:
M.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/5/2013 della Corte d’appello di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VOLPE Giuseppe che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. Merlo Giacomo, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Svolgimento del processo
- La Corte d’appello di Trento confermava la condanna di M. F. per il reato di ingiuria commesso nel corso di un diverbio con i gestori dell’albergo di cui era ospite e del cui servizio lamentava l’insufficiente qualità, mentre, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, lo assolveva da quello di diffamazione a mezzo stampa ad oggetto le analoghe doglianze manifestate ad un giornale locale e da quest’ultimo riportate in un articolo, ritenendo la sua condotta espressione del legittimo esercizio del diritto di critica e provvedendo conseguentemente alla rimodulazione del trattamento sanzionatorio e dell’entità della provvisionale liquidata in prime cure in favore delle parti civili.
- Avverso la sentenza ricorre l’imputato deducendo la contraddittorietà della motivazione e il mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione. Sotto il primo profilo osserva il ricorrente come, tanto nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa, come nel corso del diverbio con gli albergatori, il M. avesse fatto ricorso ad espressioni in tutto identiche (sostanzialmente concentratesi nel definire uno “schifo” il servizio offerto dall’hotel) che la Corte distrettuale, con motivazione per l’appunto illogica e contraddittoria, aveva valutato in maniera opposta ai fini della configurabilità del legittimo esercizio del diritto di critica. Non di meno, pur riconoscendo che l’istruttoria dibattimentale avesse dimostrato l’effettività dei disservizi denunciati dall’imputato, del tutto immotivatamente avrebbe escluso l’operatività della disposizione di cui all’art. 599 c.p., comma 2.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.
In realtà infondata ai limiti dell’inammissibilità è la prima doglianza, giacchè la Corte distrettuale ha esaurientemente illustrato le ragioni per cui l’utilizzo del medesimo epiteto nei due differenti contesti dovesse portare a differenti conclusioni in ordine alla valutazione della penale rilevanza della condotta dell’imputato, precisando come nei confronti diretti con l’albergatore il M. non si fosse limitato alla specifica critica delle modalità di erogazione del servizio di ristorazione, bensì avesse trasceso in una più generale e gratuita aggressione verbale nei confronti della persona offesa e della struttura da lui gestita.
Argomentazioni queste che non risultano manifestamente illogiche e con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato con la dovuta specificità.
Il ricorso coglie invece nel segno nella critica al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione, nonostante i giudici d’appello avessero ammesso che la condotta ingiuriosa addebitata costituisse l’effettiva e sostanzialmente immediata reazione ai disservizi subiti dal M. ed all’imposizione di regole (divieto di asportare i residui del cibo per costituire il cd. “doggy bag”, riempire la propria borraccia dalla bottiglia servita a tavola) non irragionevolmente ritenute pretestuose ed ingiuste dall’imputato.
In realtà la fattispecie descritta in sentenza integra effettivamente quella tipizzata dall’art. 599 c.p., comma 2 atteso che il fatto ingiusto altrui può essere costituito anche dalla lesione di regole comunemente accettate nella civile convivenza (Sez. 5, n. 9907/12 del 16 dicembre 2011, P.C. in proc. Conti, Rv. 252948), mentre la motivazione – invero assai generica – resa per escludere l’operatività dell’esimente si rivela intrinsecamente contraddittoria sul punto, una volta contestualizzata all’interno del complessivo discorso giustificativo del provvedimento.
La sentenza deve dunque essere annullata senza rinvio per essere l’imputato non punibile ai sensi dell’art. 599 c.p., comma 2 avendo agito nello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere l’imputato non punibile ai sensi dell’art. 599 c.p., comma 2.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2014